Daniela Fedi.
Anche un bambino sa quanto sia preziosa la foresta. L’odore fresco e mozzafiato degli alberi. Uccelli echeggianti che volano sopra quella densa magnitudine. Un clima stabile, una vita diversificata sostenibile e una fonte di cultura. Tuttavia, le foreste e altri ecosistemi sono in bilico, minacciati di diventare terreni coltivati, pascoli e piantagioni.
Intervista
M- Da quanto tempo e come conosci Stephan?
Io ero a Elle Italia nel 1986 e avevo come collega Micaela Sessa, che un giorno mi dice “tu devi conoscere lo Stephan Janson”. Contemporaneamente scopro che lei (Micaela) va a dire a Stephan lo stesso di me. Ci conosciamo e scoppia una grandissima amicizia. Lo Stephan ha definito la mia passione per la moda con questo suo stile inimitabile che era quello di raccontarti delle storie da un punto di vista strettamente personale, fatto su misura, che è come aprire una finestra sul mondo. Io mi ricordo una cena a Parigi con lo Stephan dove io indossavo una camicia bianca che era una brutta copia della camicia di Ferrè, però era molto elegante. A un certo punto vedo che c’è una signora che mi osserva, una bellissima donna, elegantissima, seduta al tavolo vicino. Allora inizio a guardarmi la camicia pensando si fosse sporcata, ma era pulita. Allora penso: “si sarà slacciato qualcosa”. Stephan mi chiede: “che profumo hai indosso? Ma tu sei pazza! Questo profumo è un via libera per le lesbiche, la signora è una lesbica e ti sta corteggiando”. È una storia così divertente e buffa anche perché era il profumo del mio papà che io adoravo. La nostra amicizia è punteggiata da racconti che sono in bilico tra la storia del costume, la storia della moda, la filosofia dell’eleganza, l’essere e l’apparire ma in un modo così preciso, ironico, leggero e al tempo stesso profondo che ti fanno capire perché questo signore fa dei vestiti che sono sublimi.
M- Cosa significa per te indossare un Janson?
Mi sono negata questo piacere per molti anni, nel senso che per tutta una serie di ragioni che la ragione non conosce nemmeno, per un po’ non ci siamo frequentati. Io 23 anni fa sono arrivata al quotidiano Il Giornale, un lavoro che mi ha totalmente assorbito. Sto facendo la stessa operazione ora, sul web, e mi chiedo come cavolo faccia ad avere l’energia di affrontare alla mia età un cambiamento epocale di questo genere. Di fatto per molti anni non ho frequentato lo Stephan, presi dall’ingorgo del lavoro. Devo a questa pandemia, a ritmi un po’ meno frenetici e a una maggiore libertà la nostra amicizia ritrovata. È successo in modo semplice: durante una stagione sfilate nel periodo di Covid sono venuta qui in Via Goldoni 21 e quel giorno avevo tutta la pagina a mia disposizione. Non avevo niente da scriverci. Allora mi sono detta, vado a salutare, a trovare lo Stephan e faccio un articolo su di lui. Così abbiamo ripreso a vederci e sentirci ed è stato come se il dialogo fosse rimasto intatto, inalterato, esattamente come fanno i suoi vestiti. Ho indossato domenica sera per la prima volta l’abito bordeaux comparato qui poco prima di Natale con un paio di stivali bordeaux, era come se l’abito fosse già il mio “Old favourite” del guardaroba. Quello che Fitzgerald definisce quando parla del guardaroba del Grande Gatsby “the old favourites”, gli irrinunciabili del guardaroba. Una volta sono andata a Goodwod, Inghilterra, per un evento organizzato da Hermes. E dovevo indossare un abito sera. Stephan mi dice: “ho io il vestito giusto per te!” e mi da un vestito di un giallo bellissimo, un enorme t-shirt in faille di seta. In Inghilterra se è luglio fa sempre freddo, mi suggerisce uno scialle rosso carminio. Gli chiedo se sia impazzito. Mi risponde che sono i colori della provenza e che sarei stata perfetta, aveva ragione! Il problema dello Stephan è uno, glielo aveva annunciato molto bene Krizia: “tu sei troppo chic”.